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Il primo giornale di Cetara

La triste leggenda dietro la bellezza di Cetara

-di Giuseppe Esposito-

Il viandante che, da Vietri imbocca la tortuosa strada della Costiera fino alla punta di Fuenti e attraversa il vallone dell’Albore, dominata, per un breve tratto dai paesi di Raito ed Albori, giunge all’antica conca di Cetara, avvolta dal monte Falerzio, parte verdeggiante ed in parte rado e selvaggio. Questo luogo, per la sua bellezza rappresenta una delle perle della Divina Costiera ed attrae innumeri turisti, col suo borgo di pescatori, quasi immutato, nel corso del tempo. La sua spiaggia così piccola ed accogliente è dominata dall’antica torre vicereale che le conferisce una sua fisionomia particolare ed un’aura di storia vissuta e tiene viva la memoria delle scorrerie che i pirati saraceni compivano di sovente lungo le coste italiane.

Essa infatti, come le altre molteplici che ancora si possono ammirare lungo la costa da Salerno a Positano, era stata costruita per permettere l’avvistamento in tempo utile delle navi dei corsare in avvicinamento e dar modo alla popolazione di approntare le difese o di cercare rifugio sulle alture circostanti per sottrarsi alle scorrerie dei saraceni.

La maggior parte di coloro che frequentano la spiaggia posta alla fine della strada principale del paese la conoscono come  spiaggia della Torretta ed ignora il nome che gli abitanti del borgo l avevano dato in passato.

Essa era indicata dai cetaresi come spiaggia del Lannio, corruzione dialettale questa del termine Lannii, ossia del lamento.

Accadeva, infatti, in passato, che, soprattutto nelle ore in cui le tenebre erano già scese ad avvolgere le cose, nella zona sotto la torre ed in quelle finitime si udisse un lugubre lamento. Per secoli ci si era interrogati sulla provenienza di quei gemiti e la tradizione locale dava una sua interpretazione del fenomeno. Si dice infatti che, nel corso della seconda metà del XVI secolo vi fu ad un certo punto una delle innumerevoli razzie dei saraceni e quella  volta essi decisero di mozzare la testa a tutti i prigionieri che non accettassero di abiurare alla loro fede e convertirsi all’ Islam.

In paese sorgeva il convento che ancora oggi domina il borgo un gruppo di monaci, depositari dell’antica ricetta della specialità che ha reso Cetara famosa nel mondo, parliamo, ovviamente, della colatura di alici, derivata addirittura dall’antico garum dei romani. Quei monaci, nel tentativo di sottrarsi alla cattura, avevano cercato rifugio in una grotta alla base della torre. Ma il tentativo si rivelò vano ed essi furono tutti catturati e sgozzati dai predoni.

Da quel momento, al calar della sera lungo la spiaggia e nei dintorni si cominciò ad udire un, lugubre lamento. Fenomeno che teneva lontani dalla spiaggia tutti gli abitanti del paese ed anche, ovviamente i forestieri che lì si avventuravano. Quel lamento era infatti attribuito alle anime di quei poveri  monaci morti per mano dei pirati e rimasti privi di cristiano sepoltura.

La cosa andò avanti fino alla fine del secolo XIX, quando un uomo arguto, che pare fosse il sindaco di quel borgo, decise di avviare una serie di ricerche nelle zone in cui quel lamento pareva originasse. Alla fine delle ricerche furono scoperte una serie di ossa umane ancora in superficie. Esse furono raccolte e fu data loro una degna sepoltura. Da quel momento in poi i lamenti cessarono e la spiaggia ridiventò un luogo ameno e ridente attrattiva insostituibile del borgo.

Dell’origine del nome di spiaggia del Lannio rimane solo una vaga memoria nei racconti degli anziani.

 

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