Vi sono luoghi che, ancora oggi, sanno parlare al nostro cuore ed alla fantasia. Luoghi il cui fascino, pur in quest’epoca convulsa, si è conservato intatto, non lambito né eroso dal tempo. Uno di questi luoghi potete avvistarlo, se vi affacciate da una delle terrazze di Positano e gradate in mare verso sud ovest. Al largo, a distanza di alcune miglia scorgerete uno scoglio, che spesso sembra vibrare nella caligine dell’aria estiva. Si tratta del minuscolo arcipelago de Li Galli. Tre piccolissimi isolotti, di cui il maggiore, che ha la forma di un delfino, è chiamato il Gallo lungo, gli altri due sono la Rotonda e la Castelluccia. Osservandoli da Positano, il maggiore cela alla vista i due più piccoli.
Essi furono abitati fin dalle epoche più antiche e conservano tracce di epoca romana. Il loro nome si rifà all’iconografia di quel tempo in cui le sirene erano rappresentate come esseri per metà donne e per metà uccello. Qui, spesso, da Capri arrivava l’imperatore Tiberio, nella speranza, sempre delusa, di ascoltare il canto delle sirene. Quello che ammaliava i navigatori facendoli poi naufragare.
A descrivere per la prima volta queste isole fu il geografo greco Strabone nel I secolo a.C.
Egli dette a questi scogli il nome di Sirenai o Sirenusai.
Con la caduta dell’impero romano gli isoltti furono abbandonati a causa delle scorrerie dei pirati sraraceni. Al tempo della Repubblica gli Amalfitani vi costruirono una torre con funzione di fortezza e di avvistamento. Più tardi essa fu utilizzata come prigione.
Nel 1225 Fedrico II di Svevia donò gli isolotti al monastero benedettino di Positano, indicandoli nell’atto come “Tres sirenas quae dicitur Galles”.
Dal periodo angioino e fino al XX secolo Li Galli mantennero la loro funzione di fortezza e di prigione. Ma dopo l’Unità, non essendoci più pericoli provenienti dal mare essi furono abbandonati al loro destino. Intorno al 1845 i conti Guissi, impiantarono su Gallo lungo un allevamento di conigli, che prese ben presto a prosperare. Una notte del 1875 però una terribile tempesta fece annegare tutti i conigli e così l’impresa fu abbandonata. Su Li Galli ci si recava solo nel maggio di ogni anno per partite di caccia alle quaglie.
Nel 1917 Leonid Fedorovic Mjasin, meglio noto come Leonid Massine, fu a Napoli, con Pablo Picasso, Jean Cocteau e la compagnia di Balletti Russi di Sergej Djagilev, per una serie di spettacoli al San Carlo. Terminato l’impegno col teatro napoletano, Massine fu ospite dell’amico Michail Nicolaevic Semenov, che si era stabilito a Positano nell’antico mulino Arienzo. Una struttura di epoca romana che egli aveva ristrutturato facendone la propria casa. In quell’occasione avvenne l’incontro di Massine con Li Galli, come egli stesso narra nel volume “La mia vita nel balletto”, che è poi la sua autobiografia. Queste sono le parole di Massine:
“I Semenoff vivevano sulla cima del villaggio in un grazioso mulino adattato. Durante la prima notte che trascorsi lì, guardando fuori dalla finestra, scorsi una deserta isola rocciosa a molte miglia dalla costa. Quando il mattino chiesi notizie di essa a Michail, egli m i rispose che era la più grande delle isole Li Galli, essendo le due minori nascoste alla vista. Esse appartenevano alla famiglia locale dei Parlato che vi si recavano solo per la caccia alle quaglie. In giornata prendemmo una barca per l’isola che avevo visto e scoprii che era formata da aspre rocce grigie prive di vegetazione, ad eccezione dei pochi cespugli arsi dal sole. Fui sopraffatto dalla bellezza della vista sul mare, col golfo di Salerno che si stendeva in lontananza, con Paestum a sud e i tre faraglioni di Capri all’estremità settentrionale del golfo. Essa possedeva tutta la potenza drammatica di un dipinto di Salvator Rosa. Il silenzio era infranto solo dal mormorio del mare e da qualche grido di gabbiano. Sapevo che in quel luogo avrei trovato la solitudine che cercavo, un rifugio alle pressioni estenuanti della carriera che avevo intrapreso. Decisi dunque lì ed in quel momento che un giorno avrei acquistato l’isola e ne avrei fatto la mia casa.”
Le trattative, subito avviate, coi proprietari furono lunghe, poiché gli eredi erano molti e non riuscivano ad accordarsi sul prezzo. Finalmente si giunse alla fine e l’isola fu ceduta per una somma di 300.000 lire. Prezzo che fece considerare Massine un pazzo. Così infatti andava gridando qualche giorno dopo la vendita, lungo la spiaggia di Positano, la signora Antonietta Parlato:
“Aggiu truvato ‘o pzzo ca s’è accattato ‘o scoglio!”
Massine era invece felice del suo acquisto e pose mano alle modifiche necessarie a rendere vivibile il luogo. Fece terrazzare il Gallo lungo, e vi impiantò delle vigne, oggi, soppiantate da un orto. Fece edificare una villa, ristrutturata poi, nel 1937 da Le Corbusier. Realizzò un belvedere con vista su Capri e vi mise al centro una fontana maiolcata.
Col tempo accarezzò il sogno di creare a Li Galli un centro d’arte che si interessasse di danza, di musica, di pittura e di altre forme di espressione artistica. Purtoppo la morte, sopraggiunta nel marzo 1979 gli impedì di realizzare quel sogno. Poco dopo il figlio Lorca vendette l’isola ad un altro protagonista della danza mondiale, il russo Rudolf Nureyev, anch’egli affascinato da quel luogo. Per averlo Nureyev sborsò la cifra di 3 miliardi e 43 milioni di lire. Egli ogni anno veniva a trascorrere sull’isola l’intero mese di agosto. Una volta acquistata l’isola Nureyev pose mano alle modifiche per adattare la villa ai suoi gusti alquanto orientaleggianti. Rivestì le pareti di azulejos ed i pavimenti dei suoi amati tappeti kilim. Nella torre realizzò una sala da ballo col pavimento in legno di pino rosso e le pareti ricoperte di specchi.
A differenza di Massine che era un tipo alquanto schivo, Nureyev partecipava alla vita mondana di Positano, che era all’epoca moto vivace, quando il borgo diveniva in estate l’ombelico del mondo.
Lo si incontrava di sovente seduto a La buca di Bacco, il bar ristorante posto in pratica sulla spiaggia di Positano.
Ma anche l’era Nureyev volse al termine. Nel settembre del 1992, il ballerino si allontanò dalla sua casa in mezzo al mare col presentimento che quella fosse l’ultima volta. Ed infatti la morte lo colse nel gennaio del 1993, causa AIDS.
Oggi la proprietà de Li Galli è passata all’albergatore sorrentino Giovanni Russo che affitta la villa per soggiorni o per feste a coloro che si possono permette la non certo esigua spesa. Ma il luogo è stato, per così dire profanato, da quest’uso banale e commerciale ed oggi il fascino de Li Galli lo si avverte quando si guarda il piccolo arcipelago dalla costa, nell’aria resa un po’ tremula dalla calura estiva.